Non nobis Domine 16

Gesù pianse su Gerusalemme, che non riconobbe il tempo in cui fu visitata. Ne profetizzò la distruzione (“non lasceranno in te pietra su pietra”) in termini di castigo. Pianse sulle anime che non lo riconobbero e, non riconoscendolo, non riconobbero la grazia di Dio.
Pensiamo, per un attimo a coloro che – pur avendoLo guardato e ascoltato per le strade della città -rifiutarono Cristo. Ai capi religiosi che sobillarono il popolo a tal punto da indurlo a preferirGli un bandito e ad invocare la messa a morte di Nostro Signore. Com’è possibile sia accaduto questo? Com’è possibile ricevere tanto da Dio, addirittura la visione fisica di Suo Figlio, l’ascolto della Sua Parola, vedere le Sue lacrime, assistere ai Suoi miracoli, e non convertirsi?
È possibile. Se esiste un dramma nella vita di un uomo è quello di rifiutare Gesù Cristo. Tutto il resto, quello che gli uomini chiamano “drammi”, non rappresentano nulla in confronto. Accade continuamente quello che accadde duemila anni fa: rifiutare Cristo e continuare a darsi ai peccati. Questo spiega la crisi di fede che viviamo. È una crisi che ha origine nella gerarchia ecclesiastica e si diffonde in tutti gli ambiti, a tutti i livelli. L’aspetto più inquietante è che questa crisi è stata ed è compiuta da persone che celebrano i sacramenti, che dicono, o dovrebbero dire, Messa ogni giorno. Vivono, allora – possiamo dirlo – un ostacolo alla grazia: il peccato impedisce che la grazia passi nelle anime, perché ogni attaccemento, ogni abitudine, ogni familiarietà con il peccato, rappresenta un ostacolo alla grazia di Dio. Questo può accadere a ciascuno di noi, se restiamo legati affettivamente al peccato, perché ad esso ci si abitua, come se non si potesse farne a meno.
Possiamo – in qualche modo, dobbiamo – credere che Nostro Signore pianga anche oggi per la Sua Chiesa, sfigurata dai peccati dei suoi figli. Preghiamo Maria Santissima, allora, perché ci aiuti a non affezionarci al peccato e ad accogliere Suo Figlio, vivendo nella Libertà e nella Verità.