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DE ECCLESIA
Home›DE ECCLESIA›La letizia della morte

La letizia della morte

By Danilo Quinto
15 Gennaio 2021
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L’altro giorno, sul “Corriere della Sera”, si parlava di morte. Non era un articolo di coloro che si credono – poveri loro – emulatori di Pier Paolo Pasolini, che dalle colonne di quel giornale, nei primi anni ’70, con i suoi “elzeviri”, colmi di intelligenza e di passione politica e civile, lesse la realtà che viveva e – profeticamente – quella che l’Italia avrebbe vissuto nei decenni successivi come nessuno in seguito avrebbe fatto. Si trattava di un’intera pagina di una società di onoranze funebri che pubblicizzava i suoi “prodotti” e i suoi “servizi”.

Mi sono detto: finalmente – anche se solo per profitto – qualcuno, per un giorno, parla della morte. Finalmente viene rotto questo tabù con il quale conviviamo, distratti come siamo da quello che più ci preme: difendere a denti stretti questa nostra vita, affidandoci ai suoi “altari pagani”, ai quali siamo disposti a sacrificare tutti i princìpi e tutte le regole, a fare del prossimo “carne da macello”, a usare la menzogna come metodo dei nostri comportamenti, seppellendo – pur di emergere o anche solo di “galleggiare” – la Verità e la Libertà, di cui la nostra ignavia e la nostra tiepidezza hanno terrore. Il nostro delirio di onnipotenza – corroborato dai progressi della Scienza e della Tecnica, che ci fanno credere di poter vincere un giorno anche la morte, alle quali ci affidiamo, pieni di fiducia e ciechi – ci induce a dimenticare di dover fare in vita i “conti” con quello che non possiamo evitare.

In uno dei più bei film di Ingmar Bergman, “Il settimo sigillo”, viene proposto un dialogo tra Antonius, un nobile cavaliere crociato e la Morte, che lo attende dopo il suo ritorno dalla Terra Santa, per svolgere il suo compito e “mieterlo”. Antonius, che vorrebbe impugnare una spada per combattere nella propria anima il dubbio sul senso della vita umana e sull’esistenza di Dio, propone alla Morte, per dilazionare i tempi del compimento della sua vita, una partita a scacchi: se la Morte vincerà, lui accetterà il proprio destino. La partita va in scena.

NARRATORE: Quando l’agnello aperse il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz’ora e vidi i sette angeli che stavano dinanzi a Dio e furono loro date sette trombe.
ANTONIUS BLOCK: Chi sei tu?
MORTE: Sono la Morte.
ANTONIUS: Sei venuta a prendermi?
MORTE: È già da molto che ti cammino a fianco.
ANTONIUS: Me n’ero accorto.
MORTE: Sei pronto?
ANTONIUS: Il mio spirito lo è. Non il mio corpo. Dammi ancora del tempo!
MORTE: Tutti lo vorrebbero… Ma non concedo tregua.
ANTONIUS: Tu giochi a scacchi, non è vero?
MORTE: Come lo sai?
ANTONIUS: Lo so. L’ho visto nei quadri. Lo dicono le leggende.
MORTE: Sì, anche questo è vero, come è vero che non ho mai perduto un gioco.
ANTONIUS: Forse anche la Morte può commettere un errore.
MORTE: Per quale ragione vuoi sfidarmi?
ANTONIUS: Te lo dirò se accetti.
MORTE: Avanti, allora.
ANTONIUS: Perché voglio sapere fino a che punto saprò resisterti… e se dando scacco alla Morte, avrò salva la vita. Ti tocca il nero.
MORTE: Si addice alla Morte, non credi?
(…)
ANTONIUS: Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei irriconoscibili simili. Vi scorgo immagini di incubo nate dai miei sogni e dalle mie fantasie.
MORTE: Non credi che sarebbe meglio morire?
ANTONIUS: È vero.
MORTE: Perché non smetti di lottare?
ANTONIUS: È l’ignoto che m’atterrisce.
MORTE: Il terrore è figlio del buio.
ANTONIUS: Che sia impossibile sapere? Ma perché? Perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Mi ascolti?
MORTE: Certo.
ANTONIUS: Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli.
MORTE: Il suo silenzio non ti parla?
ANTONIUS: Lo chiamo e lo invoco, e se Egli non risponde io penso che non esiste.
MORTE: Forse è così, forse non esiste.
ANTONIUS: Ma allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel nulla senza speranza.
MORTE: Molta gente non pensa né alla morte, né alla vanità delle cose.
ANTONIUS: Ma verrà il giorno in cui si troveranno all’estremo limite della vita.
MORTE: Sì, sull’orlo dell’abisso.
ANTONIUS: Lo so, lo so ciò che dovrebbero fare. Dovrebbero intagliare nella loro paura un’immagine alla quale dare poi il nome di Dio.
MORTE: Sei molto agitato.
ANTONIUS: Stamane è venuta da me la Morte. Abbiamo iniziato una partita a scacchi. Col tempo che guadagnerò, sistemerò una faccenda che mi sta a cuore.
MORTE: E di che si tratta?
ANTONIUS: Ho passato la vita a far la guerra, a andare a caccia, ad agitarmi, a parlare senza senno. Senza ragione. Un vuoto. E lo dico senza amarezza e senza vergognarmene, perché lo so che la vita della maggior parte della gente è tale. Ma ora voglio utilizzare il respiro che mi sarà concesso, per un’azione utile.
MORTE: Mmmh-mh Per questo hai sfidato a scacchi la Morte?
ANTONIUS: Sì. Conosce il gioco molto bene, ma fino a questo momento, io non ho perso una pedina.
MORTE: E credi davvero che alla fine riuscirai a batterla?
ANTONIUS: Adopero una tattica che evidentemente essa ignora. Al nostro prossimo incontro, porterò un attacco sul fianco.
MORTE: Lo terrò presente.
ANTONIUS: Ti stai beffando di me, ma non mi fai paura. Ne sono certo, troverò il modo di batterti.
MORTE: Ci rivedremo alla locanda, e lì continueremo la partita.
ANTONIUS: Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io… Io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.

Giocheremo anche noi a scacchi con la morte? No, non giocheremo. La morte ci attende e non farà sconti. Non accetterà nessuna dilazione. Non le potremo resistere in alcun modo. Noi non parliamo della morte, che temiamo solo negli ultimi istanti della nostra vita, perchè concorriamo, con grande passione, a costruire un mondo senza Dio.

Se le mamme e i padri di oggi volessero fare un regalo – il più bel regalo – ai loro figli piccoli, dovrebbero non solo pregare con loro ogni sera, ma spiegare loro che cos’è la morte e farla anche loro “vedere”. Se dovesse accadere, non dovrebbero nascondergli, ma mostrargli il corpo di una persona cara che soffre e che poi muore. Così, i loro figli serberebbero quel ricordo nei loro cuori per tutta la vita. Si confronterebbero sin da subito con la morte. Comprenderebbero che la morte non è solo compimento della vita, ma fa parte della loro vita. Affronterebbero questa vita non da debosciati – come accade alla maggior parte della gioventù di oggi, dedita alla droga, al sesso e ai giochi su internet – ma con il rigore, la determinazione ed il rispetto che merita. Gli darebbero valore, perchè la nostra vita acquista valore proprio grazie alla morte. Scoprirebbero quel che nella profezia del grande convertito Robert Hugh Benson, autore de “Il padrone del mondo”, scopre la giovane moglie del deputato comunista più famoso quando – in un mondo che acclama l'”umanismo”, impersonificato dalla figura dell’Anticristo – l’Uomo-Dio, Giuliano di Felsenburg, che ammorba e seduce le masse e diviene il capo di tutta l’umanità che inneggia a lui cantando l’inno massonico – assiste a due eventi inaspettati, due grossi incidenti, uno ferroviario, l’altro automobilistico. La donna vede il terrore e sente le grida delle persone che stanno per morire e quando torna a casa dice al marito: quelle persone «non invocavano mica l’umanità». Quando compare la morte, nel profondo di questi uomini che cantavano l’inno massonico per acclamare il “loro Dio”, di questi uomini che fino a quel momento erano felici e non ci avevano mai pensato, viene in mente la parola Maria Santissima, viene in mente la parola Dio, viene in mente la parola Cristo e cercano questo.

Il nostro mondo, che è divenuto nel corso dei secoli anti-cattolico e che ha distrutto tutto – i Parlamenti, le Università, le Scuole, la Famiglia – reinventandolo in base alle supposte esigenze dell’uomo, tentando di eliminare la sua naturale dimensione legata al mistero, al soprannaturale e realizzando una catastrofe, ha necessità di distruggere anche la morte, che per il cattolico va intesa come evento che ci libera da questa vita per farci incontrare Dio. «Aspettavano il prete», racconta la donna al marito. «Quando l’hanno visto c’è stato tutto un movimento verso di lui. È passato come un angelo a confortare, a benedire, ad ascoltare, ad assolvere, a chiudere gli occhi dei morenti. Cosa gli avresti detto tu, gli avresti parlato dell’umanità? Si può parlare dell’umanità a uno che muore?». Dio si presenta nelle vicende umane come un fattore nuovo, che sconvolge tutto. Così, si presenta il vero protagonista del romanzo: la fede. Il mondo “inventato” da Benson – anticipatore della realtà in cui viviamo – ha bisogno di riscoprire il Cristianesimo, di chiedere a Dio che ci doni una cosa sola: la fede. Dice uno dei protagonisti del romanzo: «Dobbiamo liberarci da questa lebbra cattolica; fino a quando non ci saremo liberati, non si potrà erigere, in modo totale e pieno, il mondo nuovo, che dipende dall’uomo, dall’unità degli uomini, dalle capacità scientifiche e tecnologiche».

È questo il mondo nuovo. Quindi, bisogna distruggere chi ci ricorda ancora che c’è Dio e pretende di consegnare la nostra vita personale e sociale a dimensioni che non possiamo controllare. Le dimensioni che non possono essere controllate, non solo non esistono, ma devono essere distrutte. Questo è il grande progetto che si muove e che attraverso la grande capacità di manipolazione dei mezzi della comunicazione sociale s’intende affermare. Un grande e terribile progetto – che vuole far vivere masse anonime, prive della loro identità – violento e fragile nello stesso tempo, che dev’essere governato da un uomo che raccoglie in sé la capacità di formulare le linee fondamentali del discorso in termini comprensibili e che ha una capacità di comunicazione da incantare le masse.

Quell’uomo, quando apparirà, ci dirà di non preoccuparci della morte. Ci dirà che lui vincerà la morte. L’imitatore di Dio, il grande ingannatore, vuole essere come Dio. Non facciamoci ingannare. Occupiamoci sin d’ora dell’evento morte e prepariamoci ad essa ogni giorno della nostra vita, con umiltà. Come si preparò Cristo nella Sua presenza su questa terra. Imitandolo e avendo solo Lui come consolazione di questa nostra vita. Sarà più dolce, così, incontrare e accettare la morte.

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