Coronavirus. Tornare alla normalità?
Da quando gli uomini malvagi hanno posto il Figlio di Dio sulla Croce, non esiste e non può esistere nessuna normalità. Esiste un prima e un dopo.
Prima, c’era solo il peccato, dopo c’è la possibilità di salvarsi. Prima c’era l’iniquità, dopo c’è la speranza, che insieme alla fede e alla carità, è virtù teologale. Prima c’era la disperazione, dopo c’è il Suo lascito, il dono della Sua vita, il sacrificio supremo di Gesù, che si rinnova in modo incruento con la Santa Messa.
Nel fatto storicamente accertato dell’assassinio orrendo e abominevole del Figlio prediletto da Dio, che sulla Croce fa fino in fondo e si abbandona totalmente alla volontà di Suo Padre, sta il fondamento del Cristianesimo.
La Persona-Dogma che spira chinando il Suo capo, da Uomo-Dio, consegna a coloro che Lo ameranno e osserveranno i Suoi comandamenti, la possibilità di salvarsi, di tornare alla normalità orginaria di individui creati a immagine e somiglianza di Dio, quindi immacolati, da Lui amati e santificati.
E’ questa la vera normalità a cui dovrebbe aspirare la persona umana. Quella dei nostri capostipiti – che così erano all’inizio, immacolati e che sapevano di non dover toccare l’albero della vita e di non mangiare i suoi frutti, pena la loro morte, come aveva intimato Dio – che furono sedotti dal serpente nell’illusione di divenire come Dio, di essere saggi, di conoscere il bene e il male, come disse loro il serpente. Così persero la loro innocenza, la loro immacolatezza e per prima cosa “conobbero di essere nudi” (Gen 2,7-9; 3,1-7), tanto che si coprirono con le foglie di quell’albero. Il peccato, da allora, marchiò loro e i loro discendenti per sempre.
Un altro tipo di normalità – quella a cui si vorrebbe presto e in tutta fretta tornare – è quella mondana, quella che invocano in questi giorni uomini che vivono senza Dio, abituati a coltivare i loro vizi e i loro peccati, a erigere idoli che sono simili alle canne al vento, eretti dagli uomini per gli uomini, per il loro egoismo, per il loro delirio di volersi fare uguali a Dio.
Questi idoli sono – o dovrebbero essere – spazzatura, per chi ha fede. Incarnano – se così si può dire – l’anima dell’uomo votata al male, in preda alle grinfie di quell’angelo ribelle, il più grande degli angeli, che non sopportava la grandezza di Dio, che non voleva sottomettersi alla Sua volontà e desiderava ergersi alla Sua stessa altezza. Dio ha permesso che quell’angelo, con i suoi potentati, tentasse anche Suo Figlio nella Sua vita terrena. Gesù combattè da Uomo-Dio perchè quell’angelo ribelle non avesse il sopravvento su di Lui e questo combattimento è di carattere profetico: insegna agli uomini che la loro vita sarà segnata fino alla fine dalla tentazione del peccato. Quel combattimento è una prova, alla quale ogni uomo e ogni donna sono sottoposti nella loro vita. E’ il mistero del male, che si dipana nella storia umana con il permesso di Dio. Come tutto, su questa terra e nel cielo. Perfino l’angelo ribelle – lo testimoniano tanti esorcisti – prova disprezzo nei confronti di coloro che seduce e avvinghia, di coloro che rinnegano Dio.
Dio mette alla prova coloro che ama. Lo fa conoscendo bene, nel dettaglio più intimo, i loro limiti, il loro grado di sopportazione. Lo fa per far crescere la loro fede. Per portarli alla santificazione, anche al martirio, se necessario. Perciò Gesù insegna a pregare non ci indurre in tentazione. Dio permette che l’uomo sia tentato dall’angelo ribelle, per una ragione molto semplice: non c’è nulla che avviene sulla terra che non sia nel disegno di Dio. Anche il potere del demonio, che soggioga l’uomo sulla terra, è nel disegno di Dio.
E’ questa la normalità che il mondo vive. Un mondo che è nemico di Dio. Perchè il mondo vive nel peccato. Gesù dice: «Coloro che vivono nel peccato, odiano la luce» (Gv 3, 19-20). Incontrando i Giudei, si rivolse a loro così: «Se non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati». Sta in due parole la storia della salvezza: “Io sono”, un’espressione ripetuta altre volte nel Vangelo di Giovanni (Gv 8,28; 13,19), riservata a Jahvè nell’Antico Testamento (Dt 32,39; Is 43, 10-11), dove Dio, nel rilevare il Suo Nome e, con esso, la propria essenza, dice a Mosè: «Io sono colui che sono!» (Es 3,14) e aggiunge: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio è l’Essere Supremo, assoluto e perfetto, che non dipende da nessun altro essere, dal quale tutti gli enti traggono origine e sono conservati nell’esistenza. Quando Gesù dice di se stesso “Io sono”, rivela di essere Dio.
Questa rivelazione è accompagnata da Gesù da un ammonimento, rivolto nel passo citato del Vangelo ai Giudei, che erano coloro che non Lo riconoscevano nel tempo storico della Sua venuta sulla Terra, ma che si può estendere a tutti coloro che nei tempi successivi alla Sua venuta non hanno creduto in quelle due parole, “Io Sono”. L’ammonimento è durissimo: «morirete nei vostri peccati», dice Gesù.
Sant’Agostino commenta (Ioannis Evang., tractatus, 38,6): «Tutti siamo nati col peccato; tutti vivendo abbiamo aggiunto qualcosa al peccato di origine, e così siamo diventati del mondo ancor più di quando nascemmo dai nostri genitori. E dove saremmo noi, se non fosse venuto Colui che assolutamente non aveva peccato, per assolvere ogni peccato? Siccome i Giudei non credevano in Lui, giustamente si sentirono dire: “Morirete nei vostri peccati”».
Che cosa significa «Siamo diventati del mondo», come sottolinea Sant’Agostino? Nella sua straziante preghiera sacerdotale (Gv 17, 1-25), Gesù usa per diciotto volte la parola mondo, in tre accezioni. Nella prima, mondo sta per universo creato, per esempio nell’espressione «prima che il mondo fosse». Nella seconda, mondo indica l’umanità destinataria della misericordia di Dio, in attesa della salvezza, per esempio l’espressione «perché il mondo creda che tu mi hai mandato». C’è, poi, un’ultima accezione. È contenuta in questi due passi (Gv 17, 6-11): «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscite da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro, non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi».
Commenta il cardinale Giacomo Biffi in “Pecore e pastori”, Cantagalli, 2008: «Questa terza accezione dev’essere ben considerata, senza indulgere ad attenuazioni o magari a censure ideologiche. Il termine “mondo” evoca un’oscura opposizione all’amore fattivo di Dio per le sue creature; un’opposizione che resterà sempre operante e malefica fino alla venuta gloriosa del Signore. È quindi una realtà in aperto contrasto con l’iniziativa divina di riscatto e di elevazione dell’uomo; una realtà irrimediabilmente ottusa, incapace di accogliere il mistero della giustizia, della misericordia, della paternità del Creatore: “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto” (17, 25). È dunque qualcosa di irredimibile, tanto che il Salvatore di tutti e di tutto può tranquillamente affermare: “Io non prego per il mondo”. Non ha nulla in comune con Cristo, e perciò non può avere nulla in comune con quelli che sono di Cristo, poiché tutto è avvolto in un unico odio spaventoso: “Il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (17, 16). Essere “nel mondo” ma non “del mondo”: è il dramma del “piccolo gregge”, che è fatalmente sempre alle prese con questo enigma di malvagità, ma deve evitare di avere con esso la minima consonanza; ed è anche l’implorazione più accorata che si eleva dal cuore del nostro unico vero Pastore: “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno” (17, 15)».
A coloro che non Lo riconoscono, Gesù dice che appartengono a questo mondo, non perché dimorano sulla Terra, ma perché vivono sotto l’influenza del principe di questo mondo (Gv 12,31; 14,30; 16,11), perché ne sono vassalli e ne compiono le opere; perciò essi morranno nei loro peccati. Ammonimento che si rafforza, considerando altre parole di Gesù: «Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato» (Gv. 15,22).
Il coro unanime degli uomini del ritorno alla normalità che ascoltiamo nei giorni in cui la pandemia del coronavirus ha mosso i primi passi in Italia, dimostra quanto il nostro Paese – e il mondo, nella sua interezza – sia avvolto dalla luce delle tenebre che sovrastarono il cielo di Gerusalemme nel giorno in cui Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò (Lc 23, 44-49). Nulla è cambiato da quel giorno in cui “il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio e il velo del tempio si squarciò nel mezzo”. Fu il centurione romano, allora, a glorificare Dio e a dire: “Veramente quest’uomo era giusto”, mentre “le folle” – che si erano espresse a favore della sua morte “che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto”. I Suoi amici? “Tutti i suoi conoscenti”, dice Luca, “assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti”.
Dal punto di vista umano, Gesù si può considerare l’uomo (Uomo-Dio) che più ha fallito nella storia dell’umanità. Il mondo non Lo accolse, Lo rifiutò, Lo condannò a morte, Lo tradì con gli uomini che Egli stesso aveva scelto, Lo scorticò da vivo, ridusse la Sua carne a brandelli, Lo frustò, Lo insultò, Lo inchiodò sulla Croce, scelse due farabutti come Suoi compagni di agonia. Il mondo rifiutò la conversione che Gesù proponeva. Desiderava vivere la sua normalità. Nella sua dimensione, che era prima di Gesù ed è stata dopo Gesù: la normalità del peccato. Gesù fu segno di contraddizione e di scandalo rispetto a questa normalità, alla normalità che l’uomo ama.
Per questa ragione, diventa più forte l’esigenza di salvare l’economia, compromessa dalla pandemia, piuttosto che valutare quanti posti letto di terapia intensiva saranno necessari di qui a qualche settimana e quanti ospedali da campo bisognerà allestire per salvare vite umane. E’ più importante salvare il turismo o il business delle gite scolastiche o l’apertura dei teatri o dei cinema o non compromettere lo svolgimento del campionato di calcio, piuttosto che organizzare per alcuni mesi – con le scuole chiuse e aiutando anche economicamente le famiglie, che devono lavorare, per tentare di sopravvivere – lo studio a distanza dei nostri figli, dotati di cellulari e di tablet, tutti, in modo da salvare le loro vite rispetto ad un virus che non li risparmierà. Diventa normale – solo perchè siamo immersi nel peccato – placare il panico e tentare di sconfiggere la legittima paura, aggiungendo al numero dei morti, le parole “sono tutti anziani, già affetti da altre patologie”, come se gli anziani siano da considerare carne da macello. D’altra parte, nulla di nuovo. L’eutanasia strisciante o la sedazione profonda appartengono alla nostra normalità. Diventa normale eliminare l’acqua benedetta dagli aspersori, non celebrare le Sante Messe, disporre che il Corpo di Gesù sia dato sulla mano in modo teologicamente e liturgicamente sacrilego, indegno, piuttosto che far celebrare Sante Messe Gregoriane da mattina a sera, precedute dal suono delle campane per radunare il popolo, sottraendolo a Mammona e riconsegnandolo a Dio e indire un anno di pentitenza e di preghiere, di processioni e di mortificazioni. Diventa normale fare il conto del Pil che scende, dello spread che sale, dell’indice di borsa che sprofonda, della ripresa che rallenta, della recessione, del patto di stabilità e del pareggio di bilancio, della “benedizione” dei commissari europei, piuttosto che fermarsi e pensare: siamo cenere; con un soffio dell’alito di Dio o con un Suo batter di ciglia, non esistiamo più.
Hanno fatto credere che il diluvio universale o Sodoma e Gomorra fossero favole per bambini per far intendere che Dio fosse solo Misericordia, che si spiega solo con la Sua Giustizia, che viene negata. Vorrebbero un mondo normale, pacifico, senza guerre, senza poveri, senza malattie, con un ambiente sano e produttivo. Un mondo felice. Hanno scambiato il Cristianesimo per un parco giochi. Una Disneyland. Fatelo sapere ai martiri sbranati dalle fauci delle belve. Fatelo sapere a quegli uomini di tutt’Europa che con le Crociate – radunati da uomini e papi santi – vollero restituire alla cristianità i luoghi in cui Gesù era vissuto ed era morto. Fatelo sapere alle centinaia di migliaia di cristiani perseguitati nel mondo, soprattutto nei Paesi di provenienza di quei migranti ai quali non si deve chiedere nessuna conversione, ma con i quali si deve pregare insieme, anche nelle Case del Signore, dov’è custodito il Suo Corpo vivo, trasformate in molti casi in moderni posti di ristoro per i poveri, che si salverebbero in quanto tali, perchè Gesù non sarebbe venuto sulla terra per salvare i poveri di spirito, ma i poveri materiali, per garantire il lavoro, la terra e la casa per tutti. Come intendevano fare Stalin o Mao Tze Tung o Ho Chi Min o Fidel Castro. La logica è sempre quella mondana, nonostante la Parola di Gesù e gli ammonimenti della Santa Vergine Maria – in particolare nelle apparizioni profetiche di La Salette, di Fatima, delle Tre Fontane – che invitano ad abbandonare il peccato, a pregare, ad osservare i comandamenti di Dio.
A nulla vale chiedersi se è stato l’uomo-peccatore a creare in un laboratorio il coronavirus. Equivarrebbe a conoscere un dettaglio. Importante, ma insignificante per quello che ci interessa. Non ha forse già creato – l’uomo peccatore – la bomba atomica in un laboratorio? Non ha forse organizzato – l’uomo-peccatore – “laboratori di pensiero”, come il Bildeberg o la Trilaterale, dove le elites massoniche e globaliste determinano il destino di altri uomini, tenendoli nell’ignoranza dei processi decisionali e creando masse manovrabili per i loro perversi disegni? Non ha forse consentito – l’uomo-peccatore – che nel pianeta, attraverso campagne finanziate e organizzate dalle organizzazioni internazionali e da miliardari filantropi, fossero assassinati centinaia di milioni di bambini con gli aborti e con i sistemi contraccettivi, pianificando campagne di selezione di massa? Non ha forse coltivato e diffuso – l’uomo peccatore – la teoria del gender, la possibilità cioè che il sesso dell’essere umano possa mutare nel corso del tempo o che due coppie dello stesso sesso possano sposarsi e adottare bambini attraverso la pratica dell’utero in affitto? Non ha forse garantito – l’uomo-peccatore – che le droghe distruggessero intere generazioni o che la fame, le guerre e le malattie sterminassero centinaia di milioni di esseri umani? Non ha forse consentito – l’uomo-peccatore – che scienziati senza scrupoli diffondessero teorie false sulla sovrappopolazione, in modo da indurre gli Stati a realizzare politiche anti-nataliste?
Si è forse pentito l’uomo peccatore? No, non si pentito di niente. Ha perseverato e persevera sulla strada dell’Inferno. Cosa deve fare un buon padre di famiglia quando vede che un figlio agisce nel male? Premiarlo o punirlo? Chiediamocelo senza sosta, noi laici e testimoniamolo. Le guide spirituali non lo grideranno e non lo testimonieranno. Non possono farlo, perchè non credono più a nulla. Non è Dio ad aver bisogno di noi. Siamo noi ad aver bisogno di Lui. Dio non se ne fa nulla di un’umanità che Lo rinnega. Non la vuole. Se ne priva e la castiga. Noi rispondiamo con la chiusura delle chiese. Siamo una generazione perversa e corrotta. Da buttare via.
Danilo Quinto
Cari amici,
nello scorso mese di maggio, è stata depositata dal Tribunale di Roma la sentenza che mi ha condannato a 6 mesi, a 2mila euro di multa e al pagamento delle spese processuali per diffamazione, su denuncia dei radicali. Come sapete, nel mio primo libro avevo scritto l’espressione “servo sciocco” in corsivo (in un libro in cui io stesso mi definivo servo, s’intitolava infatti “Da servo di Pannella a figlio libero di Dio”), rivolta ad un ex deputato radicale.
Avverso la sentenza, avevo presentato appello. Ho appena saputo che è stato fissato: il 12 marzo, alle ore 9.00, presso la Corte d’Appello di Roma. Io ci sarò. Tutto per la maggior gloria di Dio.
Vi chiedo di pregare per me,
Danilo Quinto
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