Non nobis Domine 41

“L’amor che move il Sole e l’altre stelle”. È l’ultimo verso della Commedia, dove Dante usa la parola dissolvendola nel silenzio della rivelazione. Non è solo una conclusione. È un ritorno all’origine. Un verso che ha cercato per tutto il poema e che finalmente si mostra nella sua bellezza cristallina e infinita: l’amore come forza primaria dell’universo, come principio originario poetico e cosmico.
Certo, la certezza che l’universo sia mosso dall’amore contrasta duramente con la nostra condizione umana, così fragile, frammentaria, lacerata, in alcuni casi disperata. Eppure, in ragione proprio di questo, è un verso che consola, nel senso più profondo. Indica che al fondo del dolore, della sofferenza, della morte, dello smarrimento, resta una scintilla, una piccola luce, che tende all’unità e illumina l’oscurità.
Dante vede l’amore non solo come sentimento, ma come necessità, tensione verso il significato prioritario della vita, di questa vita e di quella eterna. Non è solo poesia. È fede, nella sua essenza. È stare in e con Dio, nella visione beatifica, che non avrà né tempo né spazio. Nell’eternità.