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DE ECCLESIAFOCUSULTIMA ORA
Home›DE ECCLESIA›Sulla Nota dottrinale Mater Populi fidelis

Sulla Nota dottrinale Mater Populi fidelis

By Danilo Quinto
1 Dicembre 2025
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Ricevo e pubblico da Padre Lorenzo Franceschini.

La recente Nota dottrinale Mater Populi fidelis del Dicastero per la dottrina della fede, menziona di
come papa Francesco l’abbia espressa una sua posizione contraria all’uso del termine
Corredentrice non in assoluto quale appellativo, o ruolo, o attributo, ma proprio in quanto che
titolo. E la medesima Nota esplicita in che modo non vi è stato indifferente l’impiego di tale
espressione: fin da subito si intitola come nota che verte su alcuni titoli mariani. Non solo dunque
su uno o sull’altro, ma riguardo pure al problema di una loro indebita commistione e reciproca
confusione.
Se alcuni nomi attribuiti a Maria vengono detti titoli non è infatti da escludere che possano
essercene altri, o almeno un altro, che non potrà poi esser detto titolo nel senso in cui intanto lo si
è invece detto di quegli altri così diversi appellativi.
La citazione di papa Francesco inoltre riportava che la contrarietà all’uso del termine corredentrice
quale titolo rinviava a che la Madonna non si è presentata per se stessa corredentrice come a
toglierne a Gesù il titolo, o come a prendere per sé qualcosa di suo Figlio giacché l’opera della
Redenzione non sarebbe stata perfetta e avrebbe quindi necessitato una qualche aggiunta.
E in effetti la Nota annovera una serie di pronunciamenti in cui il termine di corredentrice bensì è
stato invero usato nel magistero pontificio. Il richiamo ovvio è a ricordarsi che già proprio in questi
pronunciamenti la portata autentica dell’appellativo di corredentrice, deve avervi corrisposto a
niente di meno che a tali suddette caratteristiche del vero lineamento mariano del poter esserlo
detta, corredentrice.
In pratica ciò significa che la corredenzione mariana come tale non è stata intesa nel magistero
ecclesiastico come qualcosa che fosse una cooperazione indiretta e partecipata all’opera salvifica
del Redentore.
Occorre stare attenti, perché secondo un linguaggio comune e generico si potrebbe pur intendere
la co-redenzione semplicemente in senso analogico e derivato come qualcosa che discende, che
deriva prosecutivamente dalla redenzione. In tal caso una simile corredenzione potrebbe essere
considerata riguardo a Maria quasi un sinonimo della sua mediazione in senso lato.
Ma dobbiamo prestare appunto attenzione che non è affatto questo, il senso in cui di fatto il
magistero dottrinale ha cominciato e proseguito ad usare il termine mariano di corredentrice.
Del resto è invece abbastanza comprensibile che una mediazione salvifica che sia cooperazione
ormai indiretta e partecipata all’opera salvifica del Redentore, di suo non lo è affatto inadatta ad
esser riconosciuta ammissibile, ma è appunto una tale cooperazione indiretta e partecipata pur in
sé peraltro ammissibile a bensì non risultarne per nulla adeguata, a darvisi in ciò che la Santa Sede
ha inteso significare con l’attributo mariano di corredentrice sin da quando ha cominciato ad
impiegarlo.
Il termine di corredentrice nel senso dottrinale adottato costantemente non può, se non riferirsi,
proprio e soltanto a quel livello sublime di cooperazione all’opera salvifica che è il livello di
cooperazione immediata e diretta, nel modo allora che un tale livello di cooperazione tutta e solo
immediata e non partecipativa ne possa rispondere, al requisito poi di non inficiarvela in alcun
modo a questo suo livello dunque fontale e originario, l’unicità stessa dell’opera salvifica del
Redentore. Viceversa uno sviluppo innovativo dell’accezione terminologica con cui si sia voluto impiegare il
termine di corredentrice, può aver portato nella prassi devozionale a quell’impiego improprio del
termine, il quale che in ultima analisi secondo la Nota dottrinale in descrizione non potrà in qualche
modo esserne, a sua volta poi tollerato, se non a prezzo infine di quelle continue necessarie
disambiguazioni esse allora dovute rispetto dunque, all’accezione dottrinale anteriore la quale
invece riferiva e riferisce a una dimensione di cooperazione salvifica diversa e inconfondibile, la
quale è di concorso immediato.
Tanto che in definitiva la Nota dottrinale sconsiglia fortemente di procedere lungo oscillazioni di
riferimento e di significato basilare. Tanto che è per questo che se ne afferma che quel modo
estensivo e quindi del tutto alternativo di intendere la corredenzione, il quale perciò richieda
davvero eccessive continue spiegazioni, è in questo senso quel modo sperimentale e arbitrario di
confondere il senso dell’accezione dottrinale del termine di corredentrice, che come tale sarà modo
che andrà del tutto evitato.
Detto così questo potrebbe allora forse sembrare uno scrupolo superfluo, ma non lo è. Non lo è
perché il livello di cooperazione indiretta e partecipata, ossia mediata, è quello che il documento
conciliare ecclesiologico laddove parlava del ruolo mariano nell’opera salvifica scelse di mettere di
più in evidenza.
Dove vi si trattava allora di un livello mediato e indiretto di partecipazione all’opera salvifica, il
quale che a vario titolo può essere dunque fatto proprio dai più vari soggetti ecclesiali nonché da
Maria santissima stessa, per quale intanto che tipo perciò poi della Chiesa.
Ma si tratta pertanto, di un livello di funzionalità rappresentativa che si spiega meglio in chiave
quindi trinitaria di mediazione partecipativa appunto ecclesiologica, il quale allora è livello in cui si
ambientano bene i titoli mariani cui il documento conciliare in tal modo riferiva, come quelli di
ausiliatrice, riparatrice, consolatrice.
Ma che sono appunto quei titoli con cui se ne rappresenta la mediazione indiretta e partecipata di
una cooperazione all’opera del Salvatore.
E tale livello indiretto e partecipato, ormai già di suo ecclesiologico e non più direttamente
cristologico, è quel livello di cooperazione salvifica che l’accentuazione dell’approccio del decreto
conciliare mette di più in evidenza. Tanto che coerentemente il decreto conciliare non ne prese
quindi in considerazione la corredenzione mariana come tale.
Senonché l’odierna sensibilità devozionale può facilmente trascurare questo discrimine, e voler
allora parlare di corredenzione comunque e proprio in questi termini medesimi resi più consueti
dall’impostazione del decreto conciliare, quali appunto quelli che sono i termini dei ruoli
indirettamente partecipativi all’opera salvifica.
Per descrivere questi ambiti partecipativi indiretti possiamo riferire al senso del compimento in noi
della Passione del Signore nel suo corpo mistico, o a quello che intendiamo per riparazione o
comunque quindi per consolazione, e così via, secondo i vari modi mediati della intercessione.
Ma la domanda che qui dobbiamo porci è se questi ambiti riparativi siano essi stessi ancora
direttamente parte benché anche minima della Redenzione, o se invece tali stessi ambiti
scaturiscano dalla sorgente della Redenzione non però quindi ad in alcun modo ultimarvela questa
stessa e medesima, quanto invece a contribuirne nel piuttosto delinearvi la pienezza della
Riconciliazione.
Ossia, la cooperazione indiretta e partecipata all’opera salvifica riesce bensì ad aggiungere
qualcosa all’atto redentivo, ma non in quanto quella sia allora un compimento a qualsiasi titolo ancor sempre della Redenzione come tale, quanto e piuttosto perché sarà invece una
partecipazione e una mediazione della Riconciliazione la quale se ne fonda nella Redenzione ma
non rifluisce ad accasciarsi in essa.
Sinché ci si muove nell’ambito dell’estensione diretta e fondamentale della redenzione non ci
troviamo ancora nella dimensione di un completamento in qualche modo ulteriore della Passione di
Cristo capo, ma anzi esprimiamo direttamente e funzionalmente la redenzione stessa di Cristo che
mentre la redenzione ci viene trasmessa, vi ci è lui stesso che opera direttamente attraverso una
nostra cooperazione immediata in cui sia proprio lui che agisce.
Ma in questo evento di trasmissione della redenzione la cooperazione creaturale è essa stessa
suscitata dalla grazia, in modo da non dover aggiungere nulla alla unicità cristologica dell’azione
redentiva. E senza il fondamento ineludibile in questa adesione diretta alla cooperazione immediata
all’azione redentiva, nessuno potrebbe neanche salvarsi.
In questo senso si può dire che avvenga necessariamente attraverso noi la trasmissione diretta
dell’opera redentiva stessa nella sua trasparente unicità cristologica. Ma rispetto a noi in genere
non se ne può parlare neanche così di corredenzione, perché questa espressione rispetto ai
soggetti ecclesiali in genere, tenderebbe a risultare inesorabilmente equivoca dato che proprio poi
di nostro, e non se ne sarebbe capaci se non di fare ben altro, rispetto alla redenzione di Cristo: o
stando per il nostro peccato al di sotto della soglia o essendo invece glorificati, dopo di essere
dunque salvati, partecipandone così però a quel compimento che ormai non sia se non di
riconciliazione e consegna di benedizione, e non già più di redenzione in atto.
La sollecitazione della Nota dottrinale, su questo punto, sembra volerci suggerire allora perciò la
grande eccezione. La Vergine santa, secondo la tradizionale interpretazione del messaggio
evangelico, ha espresso tutta la sua esistenza essendo totalmente informata dalla pienezza di
grazia che l’ha preservata dal perseguire quei percorsi creaturali, che fossero autonomamente
distonici rispetto alla predestinazione salvifica.
Perciò secondo anche la dottrina ecclesiastica la sua vita è accomunata da un unico disegno di
predestinazione con quello del Figlio.
E pertanto un riferimento ad una sua partecipazione in qualche modo più soggettiva a quella
cooperazione salvifica che intanto resti assolutamente diretta e immediata, nel suo caso non è
contradditorio.
L’essere stata gratuitamente cooptata alla sorgente dell’opera redentiva compiuta dal Signore non
comporta da parte sua, che con ciò avesse dovuto aggiungere allora qualcosa o esservi risultata in
qualunque modo di precondizione, in quanto che corredentrice.
Perciò è inesorabile il dover comprendere che in tal senso solo Maria ha potuto essere
corredentrice, e che in ciò non interviene e non interferisce alcuna tipologia ecclesiologica
rappresentativa, quanto invece la maternità stessa della chiesa nascente e la divina maternità
stessa che altrimenti non si spiegherebbe in quanto propriamente divina.
Se Maria a un certo punto avrà dovuto esser presente nella sua santità a rispondere con il suo Fiat
a farsi causa di salvezza, ciò non toglie che è proprio Dio questo ad averlo voluto far concorrere
all’incarnazione che sarebbe stata redentrice. Era Dio ad aver disposto che dal di lei consenso
dipendesse l’accadimento esistenziale della redenzione. E ciò corrisponde ancora alla gratuità della
disposizione divina con cui Maria ne è stata concepita immacolata, e da cui ne è stato pur anche
suscitato quel suo coinvolgimento nell’Ora stessa della Passione, per il quale la consegna del Figlio
da parte materna ne fosse consonanza trasparente al disegno salvifico di Dio stesso.Poi delle grazie divine acquistateci da Gesù nel suo sacrificio Maria per la sua compassione presso
la Croce è divenuta dispensatrice essendovi riparatrice, ma non perché a tanto ci fossero stati
applicati dei meriti mariani oltre quelli del Salvatore ad operare la nostra redenzione, poi che è da
questi ultimi che i meriti e le congrue soddisfazioni di Maria traevano simultaneamente tutta la loro
efficacia corredentrice.
Senza con questo aggiungere dunque nulla all’unicità della redenzione di Cristo, ma proprio per
questo potendo esserne gratuitamente resa la Madre trasparenza di essa.
Piuttosto dall’essere in quel modo corredentrice per Maria poi ve ne deriva di esserne dispensatrice
di quelle grazie, ma non mai semplicemente in ordine, ancor poi alla redenzione come che dunque
a completarla, quanto e che anzi in vista invece di quel perfezionamento allora riparatore che porti
alla statura voluta dal disegno divino, e così perciò poi più oltre dell’integrità essenziale già
ristabilita dalla restaurazione redentiva.
Ma a tali condizioni Maria potrà esser stata riconosciuta dunque come corredentrice solo perché
questo suo esser tale, non se ne sarebbe poi intanto confuso con il suo darsi pur inoltre mediatrice
e riparatrice nella prospettiva ulteriore che sia ecclesiale partecipativa, la quale così per converso
ve ce se ne desse in lei a rappresentanza di quella mediazione indiretta che la Chiesa declina come
cooperazione salvifica poi pur sua nell’ordine allora, della riconciliazione.
Perciò non si dovrà certo negare che anche e Maria sia mediatrice, ma non si deve dire che sia la
mediatrice corredentrice, che sia cioè corredentrice quanto già anzi ad effetto della sua
intercessione consolatrice. Del resto il Verbo si incarnava per redimerci, così che nell’Incarnazione
si profilasse virtualmente la redenzione. Materialmente l’Incarnazione è causa remota e mediata
della Redenzione ma perché sostanzialmente avviene in vista di quest’ultima, la quale nel disegno
di predestinazione è essa realmente a causare, suscitare, l’Incarnazione. Così come la Concezione
immacolata della Vergine è disposta in vista dei meriti della Passione del Signore.
E tanto meno se ne potrà poi dire e intendere che Maria ve lo sia effettivamente corredentrice, a
motivo cioè e a titolo del suo invece ulteriore esser mediatrice di intercessione continuativa di
riparazione, e in tal senso la Nota sconsiglia appunto di impiegare il termine di Corredentrice come
un titolo al pari degli altri attributi mariani i quali invece implicano già una sua mediazione
ecclesiale partecipata.
Viceversa Maria è la Madre Corredentrice, nel senso indiscernibile rispetto a quella cooperazione
gratuita ed originaria che fosse quindi immediata e diretta alla Redenzione stessa operata da
Cristo.
Una cooperazione diretta e immediata che può essere esemplificata quindi direttamente come
immediata cooptazione di concorso all’opera della salvezza.
Questa è l’accezione cui il magistero pontificio non da ora se ne ascrive nel prescrivere il senso con
cui ve lo si introduca con semplicità e chiarezza, le quali che possano risultarne inequivocabili, il
termine dunque di corredentrice.
Perciò la Nota dottrinale ricorda bensì che il Decreto conciliare, ha potuto ammetterne
genericamente che si parlasse di una cooperazione mariana salvifica senza allora menzionare la
corredenzione, ma adesso la Nota spiega che per esprimere di Maria il suo concorso nella
redenzione, si deve dunque assolutamente specificare che non vi si tratta di cooperazione indiretta
e partecipata.
Non si può cioè dice la Nota, definire genericamente la cooperazione mariana stessa poi sempre
come Corredenzione, e lo dice mentre che invece ve ne anzi implicava che è la Corredenzione medesima ad esser bensì sempre definibile come una certa cooperazione salvifica. Ma appunto
non però come una cooperazione indiretta e partecipata di qualunque tipo che fosse, ma sempre
solo come cooperazione invece immediata.
In ultima analisi emerge che l’approccio esibito nella Nota dottrinale pare proiettarsi anche oltre,
quella che sia una ricezione rigida e restrittiva dell’ambientazione accentuatamente ecclesiologica
che caratterizza la dottrina mariana del Decreto conciliare, per recuperare anche dunque un
riferimento più direttamente cristocentrico.
Ne consegue che una corretta ermeneutica nella ricezione di questa Nota dottrinale richiederebbe
che a nostra volta, si uscisse un poco da una compulsione inavvertita ad impostarne la questione
della cooperazione mariana all’opera salvifica secondo quella suddetta accentuazione,
ecclesiologica e trinitaria, la quale ve ce la pone mediatamente partecipativa anche sin laddove
non sarebbe dunque più opportuno.
Con l’avvertenza però dunque di trattenere poi tutto il valore aggiunto di quella lezione conciliare,
che ci sospinge ad essere quanto più consapevoli che appena fuori della sua immediatezza di
maternità corredentrice la riparazione mariana al contrario, non se ne pone poi più a concorso
simultaneo con l’opera salvifica del Signore, quanto che invece ad intercessione mediata e
partecipata addentro ormai della comunione ecclesiale.
Perché infatti la corredenzione mariana è invece immediatamente cristologica. Non avrebbe senso
parlare di corredenzione mariana in senso di derivazione ecclesiale partecipata, come se
veramente così si volesse per assurdo denegare proprio attraverso il riferimento mariano l’unicità
cristologica della redenzione, o come se lo si volesse fare attraverso l’Immacolata concezione.
Perciò è sensato quanto indica la Nota, e cioè che sia sempre inappropriato e sconveniente definire
la cooperazione mariana pur che sia, in tutta la sua estensione che abbiamo visto non esser affatto
univoca, sempre e comunque come corredenzione. La cooperazione mariana può e deve esserne
colta come corredentiva nel suo darsi diretto ed immediato, nella sua origine, ma intanto non può
esservelo genericamente definita allora come tale. Ciò sarebbe ed è realmente sconveniente non
da ultimo perché confondendoci ci distrarrà anche dal senso sublime e non partecipabile del
lineamento mariano autentico della corredenzione.
Risulta perciò non trascurabile che la Nota dottrinale in oggetto suggerisca per converso che la
corredenzione mariana ha da essere bensì definita come cooperazione salvifica anzi immediata, e
che questa maternità corredentrice anziché ed oscurarvela, manifesta direttamente invece in se
stessa l’unicità dell’opera salvifica dunque del Redentore.

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Sono nato a Bari il 10 febbraio del 1956. Una città che amo, ma che è stata distrutta moralmente, culturalmente e umanamente dalla politica degli ultimi cinquant’anni… (Continua)

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