Introduzione a “Il grano e la zizzania”

Ancora una volta, il Maestro e amico Giovanni Gasparro mi ha concesso la riproduzione di un suo dipinto per la copertina. Tra le tante sue bellissime opere, ho scelto San Michele Arcangelo che sconfigge il demonio (Giovanni Gasparro, San Michele Arcangelo sconfigge il demonio. Olio su tela, 80 x 60 cm, 2018. Adelfia, Bari, Collezione privata. Image copyright ©Archivio Luciano e Marco Pedicini): rispetto ai contenuti di questo libro, mi sembra quella più adatta.
Nei suoi quadri, Giovanni Gasparro esprime la sua grande anima, la sua umanità, che sente il peso della materia e la sublima. Ecco perché il suo figurativo esprime il limite imposto dalla primordiale disobbedienza a Dio, che si trasforma nel dolore di questa coscienza. Quest’ultima è lo slancio della sua arte, che non si avvolge su se stessa, ma si depone in uno slancio profondo, pari all’abisso che lo separa da Dio. Le figure sono caravaggesche, ma portano un messaggio tutto nuovo, fortemente originale. Seicento anni sono trascorsi, ma nel mare impetuoso dell’esistenza cristiana il grido di dolore non è più maniera, ma squarcio di colori che lasciano al soggetto la possibilità di diventare l’oggetto. Il quadro è un tu che parla al mondo trascendente, è un’osmosi continua tra preghiera e ribellione, estasi e commozione: è un’umanità sublimata dall’arte.
San Michele Arcangelo che sconfigge il demonio è la guida di queste pagine. Abbiamo la certezza che il male, permesso da Dio, così come si è sviluppato nella Chiesa – e di conseguenza nel mondo – e che convive su questa terra con il Bene, sarà sconfitto.
Quaggiù, la vita sarà sempre un combattimento tra il Bene e il male: un susseguirsi di avversità. Chi pensa di non doverle vivere, imbevendosi degli idoli e delle categorie mondane – il danaro, il successo, la vanagloria – e inseguendole, non ha compreso la ragione ultima di questa nostra vita. Forgiarsi nelle avversità è la chiave attraverso la quale trovare il senso del nostro passaggio terreno.
Si legge nell’Imitazione di Cristo: «È bene per noi che incontriamo talvolta difficoltà e contrarietà; queste, infatti, richiamano l’uomo a se stesso, nel profondo, fino a che comprenda che quaggiù egli è in esilio e che la sua speranza non va riposta in alcuna cosa di questo mondo. È bene che talvolta soffriamo contraddizione e che la gente ci giudichi male e ingiustamente, anche se le nostre azioni e le nostre intenzioni sono buone. Tutto ciò suol favorire l’umiltà, e ci preserva dalla vanagloria. Invero, proprio quando la gente attorno a noi ci offende e ci scredita, noi aneliamo con maggior forza al testimone interiore, Iddio. Dovremmo piantare noi stessi così saldamente in Dio, da non avere necessità alcuna di andar cercando tanti conforti umani. Quando un uomo di buona volontà soffre tribolazioni e tentazioni, o è afflitto da pensieri malvagi, allora egli sente di aver maggior bisogno di Dio, e di non poter fare nulla di bene senza di Lui. E si rattrista e piange e prega, per il male che soffre; gli viene a noia che la vita prosegua; e spera che sopraggiunga la morte (II Cor 1,8), così da poter scomparire e dimorare in Cristo (Fil 1, 23). Allora egli capisce che nel mondo non può esserci completa serenità e piena pace».
Sì, è proprio così. Questa vita è un esilio. Se riponiamo speranza su una qualsiasi cosa che appartiene a questo mondo, avremo sancito il nostro fallimento. Ad un Suo discepolo che Gli chiede il permesso di andare a seppellire suo padre, Gesù risponde: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc IX, 60). Lascia – dice Gesù – che coloro che sono morti spiritualmente, e cercano le cose mortali e passeggere, abbiano cura dei morti in senso proprio; tu cerca le cose eterne, e vieni dietro a me. Dio è padrone supremo, e i doveri che abbiamo verso di Lui sono superiori a quelli che abbiamo verso il padre e la madre, e quindi sono da preferirsi in caso di conflitto. Sant’Agostino scrive (Discorso 62): «Questo giovane voleva dunque ubbidire a Dio e seppellire il proprio padre; ma ci sono tempi, luoghi e cose che devono essere subordinati ad altre faccende, ad altri tempi e ad altri luoghi. Si deve onorare il padre, ma si deve ubbidire a Dio. Si deve amare il genitore, ma bisogna preferirgli il Creatore. “Io” – dice Cristo – “ti chiamo al Vangelo, mi sei necessario per un’altra attività; questa è più importante di quella che desideri compiere. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tuo padre è morto: ci sono altri morti capaci di seppellire i morti”. Chi sono i morti che seppelliscono altri morti? Può forse un morto esser sepolto da altri morti? In qual modo lo avvolgeranno nelle bende, se sono morti? In qual modo lo porteranno, se sono morti? Come lo piangeranno, se sono morti? Eppure, lo avvolgono, lo portano, lo piangono pur essendo morti, poiché sono infedeli».
Cercare le cose eterne è il solo obiettivo che dobbiamo avere in questa nostra vita. Sin dalla più tenera età, quelle dovremmo imparare ad apprezzare e perseguire. Le cose terrene sono vane, oltre che vacue, insignificanti, mortificano l’anima, la lacerano. Solo così potremo coltivare la vera speranza nell’altra vita e vedere anche la presenza di Gesù in questa nostra vita, di cui spesso non ci accorgiamo. Egli ci sarà sempre accanto quando invocheremo il Suo nome e a Lui ci affideremo.
Un giorno, racconta il Vangelo di Mt (VIII, 23-27), Gesù va su una barca insieme ai Suoi discepoli. Si trovano nel lago di Genezaret, quando, all’improvviso, si solleva una gran tempesta, tanto che la barca viene coperta dalle onde. Gesù dorme. I discepoli, presi da trepidazione, Gli si accostano, Lo svegliano, dicendoGli: «Signore, salvaci: ci perdiamo». Gesù risponde loro: «Perché temete, o uomini di poca fede?». Gesù, allora, impone ai venti di cessare, e subito viene obbedito.
«La nostra vita è Cristo: osserva Cristo», dice sant’Agostino. «Egli venne a patire ma anche ad essere glorificato; ad essere disprezzato ma anche ad essere esaltato; a morire, ma anche a risorgere. Se ti spaventa la fatica, guarda alla ricompensa. Perché vuoi arrivare con una vita molle ed effeminata al premio, al quale conduce solo il lavoro faticoso? Ma tu temi di perdere il tuo argento perché te lo sei procurato con grandi fatiche. Se a possedere dell’argento, che una volta, per lo meno alla morte, dovrai perdere, non sei arrivato senza fatiche, vuoi arrivare alla vita eterna senza fatiche? Ti dev’essere più cara la vita alla quale dopo tutte le fatiche arriverai in modo da non perderla mai. Se ti è caro ciò cui sei arrivato dopo tutte le fatiche e che una volta dovrai perdere, quanto più dovremo desiderare i beni eterni?».
Quando l’Uomo-Dio decise di rendere pubblica la Sua opera di salvezza per l’umanità, disse agli Scribi e ai Farisei, dopo che questi Gli avevano presentato il caso dell’adultera per tentare subdolamente di coglierLo in errore: «Ego sum lux mundi, qui sequitur me non ambulat in tenebris» (Gv VIII, 12).
Coloro che concorsero in maniera determinante, sobillando il popolo, alla crocifissione della lux mundi, si comportarono come oggi si comportano uomini di Chiesa, che agiscono sulla base del solco diabolico tracciato dal Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965) e liberali, democratici e modernisti della società cosiddetta civile, uniti nella loro opera distruttiva e malefica alle élites di massoni che dominano il mondo e intendono forgiare ai loro disegni le nostre vite, sottraendole alla Luce e consegnandole alle tenebre.
Nell’Ego sum è riassunta l’intera rivelazione cristiana, che è amore di una Persona che sceglie di essere seviziata e uccisa per accollarsi i peccati di coloro che erano vissuti prima di Lui, di coloro che sono vissuti dopo di Lui fino alla fine dei tempi e risorge per donare speranza certa della vera vita, quella eterna.
Chi ha fede, vive ogni giorno l’attualità ed anche il dramma – inteso come mistero – di questa speranza: rispetto alla gerarchia ecclesiastica e rispetto al potere politico e civile, che non è più soggetto, come invece avveniva nei secoli passati, ai diritti di Dio, ma si prostra davanti a poteri occulti e spietati, in grado di far soggiacere gli uomini solo ai suoi biechi interessi, ai suoi affari, sotto il comando di dio Mammona.
Mentre la vita su questa Terra che vive senza Dio – sostituito da idoli e altari pagani che sono incarnazione di demoni – diventa sempre più grama, la luce della speranza rimane viva ripensando alle vite dei santi dei secoli passati, che consideravano tutto quello che li circondava, cose e persone, come mezzo per servire e onorare solo Nostro Signore Gesù Cristo, non il mondo e i tesori terreni, come risulta dalla parabola del giovane ricco (Mt XIX, 16-30): «Allora si accostò a Lui un tale, e gli disse: “Maestro, farò io di bene per ottenere la vita eterna?”. Gesù gli rispose: “Perché mi interroghi intorno al bene? Uno solo è buono, Iddio. Che se brami di arrivare alla vita, osserva i comandamenti”. “E quali?”, domandò egli. E Gesù disse: “Non uccidere: non commettere adulterio; non rubare; non testimoniare il falso; onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso”. Gli disse il giovane: “Ho osservato tutto questo dalla mia giovinezza; che mi manca ancora?”. Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Udito questo, il giovane se ne andò afflitto; poiché aveva molte possessioni. Gesù allora disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. A queste parole i discepoli rimasero molto ammirati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”. Allora, Pietro, prendendo la parola, disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti ultimi saranno primi”».
Abbiamo detto sopra secoli passati perché di questi tempi i santi – che pur ci sono – rimangono muti. Che cosa pensare? Forse che il male si deve manifestare nella sua interezza, nella sua pienezza ed anche nella sua chiarezza. Così, chi, nel contesto di questa dissoluzione, ha conservato la fede, rimane solo. Sente profondamente di vivere nel martirio. Ripercorre la strada che scelse di percorrere l’Ego sum, quella del Golgota. Del resto, è questa l’essenza della speranza cristiana: sostenere la Croce di Cristo, come fece Simone di Cirene.
Per volontà di Dio, il male – la zizzania – convive su questa terra insieme al grano, nella Chiesa e nel mondo e sarà sradicato solo dagli Angeli, quando Dio lo comanderà. Per questo, la prova a cui siamo sottoposti è di fuoco, come disse il Primo Apostolo ai suoi contemporanei e quell’insegnamento vale ancora per l’oggi. Ecco le sue parole: «Carissimi, non vi stupite del gran fuoco accesovi contro per provarvi, come se vi avvenisse una cosa nuova. Ma dovete rallegrarvi di partecipare ai patimenti di Cristo, affinchè vi rallegriate ed esultiate quando si manifesterà la Sua gloria. Se siete trattati ignomignosamente per il nome di Cristo, sarete beati, poiché l’onore, la gloria e la virtù di Dio e lo Spirito di Lui riposa su di voi. Nessuno di voi soffra come omicida, o ladro, o maldicente, o insidiatore del bene altrui. Se poi soffre come cristiano, non se ne vergogni; ma dia gloria a Dio per tale nome. Perché ormai è tempo che cominci il giudizio dalla casa di Dio. E se comincia prima da noi quale sarà la fine di coloro che non ubbidiscono al Vangelo di Dio? E se il giusto a stento sarà salvato, dove compariranno l’empio e il peccatore? Perciò, anche quelli che soffrono secondo la volontà di Dio, raccomandino le loro anime al Creatore fedele, praticando il bene» (I Pt 4, 12-19).
Ci soccorra, allora, in questa prova di fuoco la speranza di poter essere assolti da Gesù Cristo, nel momento della conclusione di questa nostra vita. Che Egli ci introduca alla visione beatifica di Suo Padre. Per questa ragione, invochiamo gli Angeli, perché ci soccorrano nel nostro cammino, appelliamoci alla Santa Madre di Dio, perché ci tenga al riparo dalle insidie di colui che si ribellò al Creatore, chiediamo a Nostro Signore di farci vedere sempre la Sua Luce vivida, che sovrasta le miserie e le ingiustizie di questo mondo e ci dà conforto. Scriveva il più grande romanziere di tutti i tempi, Fëdor Michajlovič Dostoevskij: «Le dirò, io sono figlio del mio secolo, figlio della miscredenza e del dubbio, e non solo fino ad oggi, ma tale resterò (lo so con certezza) fino alla tomba. Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti appaiono gli argomenti ad essa contrari! Ciò nonostante, Iddio mi manda sereno talora degli istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegli istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegli istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. Questo Credo è molto semplice e suona così: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c’è, ma addirittura, con geloso amore mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità».
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